domenica 21 giugno 2015

AVVISO AI LETTORI

Carissimi amici,
vi informo che il mio blog ha traslocato. Per un breve periodo di tempo questo resterà online, ma poi verrà cancellato. Potete comunque trovare tutti i miei post nel nuovo blog, qui:

http://lauragayblog.blogspot.it/

BUONA LETTURA!

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sabato 20 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DODICESIMA PUNTATA

Andrea rabbrividì di piacere. Diana lo stava facendo impazzire, strofinando le mutandine bagnate contro il suo sesso. Era quasi una tortura. A un tratto gli slacciò la cintura, guadagnandosi l’accesso alla zip. Lui si irrigidì. Era talmente teso che non riusciva neppure a respirare. Sussultò quando lei gli afferrò il pene fra le esili dita, cominciando ad accarezzarlo in tutta la sua lunghezza, dalla base alla punta congestionata.
     Si lasciò sfuggire un sospiro. Lei lo stava toccando in modo lieve, stringendolo delicatamente e Andrea era sul punto di perdere il controllo. – Cristo, Diana…
     – Shh… lasciami fare, ti prego.
     Sentiva il sudore imperlargli la fronte e strinse i denti. Poi le afferrò le cosce, insinuando le dita sotto la gonna, alla ricerca delle mutandine. Voleva, no… doveva assolutamente sentirla. Sfiorare la carne calda e umida che aveva fra le gambe. Era una necessità, come respirare. Finalmente trovò l’elastico degli slip e lo tirò, strappandolo. – Adoro il tuo sesso bagnato – disse in un rantolo, strofinando il pollice contro la sua fessura. – Vorrei avere il tempo necessario per aprirti e leccarti, fino a farti urlare di piacere.
     Diana gemette contro il suo orecchio. – Oh, cielo! Andrea, ti prego… non posso più aspettare.
     Spinse il pollice dentro di lei, eccitandola. Desiderava farle perdere la ragione, allo stesso modo in cui lei la stava facendo perdere a lui.
     – Hai dei preservativi? – La voce roca di Diana lo riportò alla realtà.
     – Cazzo, sì.
     Frugò freneticamente nella tasca dei calzoni, tirando fuori una confezione di plastica che strappò coi denti. – Non esco mai senza.
     Lei fece un sorrisino malizioso. – Già, immagino.
     Andrea si infilò la protezione, senza staccare gli occhi dai suoi. Non c’era niente di più erotico dello sguardo fisso sulla propria donna, nell’istante prima del possesso. Anche Diana non gli toglieva gli occhi di dosso, pareva ammirare il suo uccello duro e gonfio, pregustando il momento in cui l’avrebbe avuto dentro di sé. Be’, non l’avrebbe fatta aspettare a lungo.
         All’improvviso l’afferrò per i fianchi e la penetrò, sentendosi avvolgere dalla sua guaina stretta e bollente. Quello era il Paradiso, non aveva dubbi. Ansimò forte mentre Diana cominciava a muoversi, sollevandosi sulle ginocchia e riaffondando dentro di lui. Aveva il volto arrossato dal piacere, la testa reclinata di lato e lunghi riccioli bruni che le erano sfuggiti all’acconciatura e ora le ricadevano sulle spalle. Non era mai stata più bella.
     Mentre continuava a cavalcarlo con una forza disperata, Andrea le infilò le mani sotto alla maglia, slacciandole il reggiseno e accarezzandole i seni. Le punte dei capezzoli si ersero come sassolini e lui le stuzzicò coi pollici, strappando a Diana altri gemiti e sospiri.
     Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quelle meravigliose sensazioni. Sentiva di essere sul punto di perdere l’equilibrio costruito durante tutti quegli anni. Era come se Diana avesse toccato un nervo scoperto e ora si ritrovasse lì, vulnerabile e inerme, di fronte a quella donna che gli stava facendo provare tutto quel piacere, senza chiedere niente in cambio. Non era abituato a rapporti di quel genere. Le sue amanti erano solite farsi ricompensare con regali costosi: viaggi, gioielli e abiti di lusso. Diana non gli aveva chiesto nulla, eppure gli si stava donando con una foga e un trasporto inusuali, lasciandolo annichilito e senza fiato.
     – Dio, sei così stretta… – mormorò, ansimando in preda a una dolce agonia. A sua volta, lei fece un sospiro, lasciandosi penetrare ancora più in profondità. Aveva lo sguardo offuscato dal piacere e Andrea non si sarebbe mai stancato di guardarla. Si rese conto di essere sul punto di venire, quando lei fu scossa da un tremito. Era così bagnata e scivolosa che il suo uccello entrava e usciva da lei con agilità. I muscoli interni della sua fica si contrassero, risucchiandolo dentro, e a quel punto Andrea esplose. Si aggrappò a lei, in un grido muto; il petto che si alzava e abbassava in respiri frenetici. Il sudore gli imperlava il labbro superiore quando infine si abbandonò, completamente distrutto, contro Diana.
     Si sentiva svuotato. E non era mai stato meglio in vita sua.




* * *

Andrea parcheggiò l’auto e percorse il vialetto d’accesso al complesso residenziale, situato sulle alture di Cavoretto. Si infilò nell’ascensore e premette il pulsante, la mente assorta nelle proprie riflessioni. Scostò il polsino della giacca sgualcita e guardò il Rolex d’oro che portava al polso. Forse aveva un po’ di tempo per farsi una doccia, prima di cena.
     L’idea di lavarsi via l’odore di Diana che gli si era appiccicato addosso non gli piacque neanche un po’. In genere non vedeva l’ora di liberarsi dell’amante di turno e non aveva mai avuto pensieri di quel genere. Ma quella volta era diverso.
     L’ascensore si fermò all’ultimo piano con uno scossone e Andrea scese, infilando una mano nella tasca dei calzoni, alla ricerca delle chiavi. Aprì la porta e tutti i suoi progetti di una serata all’insegna del relax si infransero non appena il suo sguardo cadde su Viola, seduta sul divano del soggiorno. Indossava una gonna inguinale e una maglia talmente scollata che le si vedeva l’ombelico. Per non parlare della faccia imbellettata come quella di un pagliaccio.
     Si arrestò di colpo. – Come cazzo ti sei combinata?
     Di solito evitava le imprecazioni di fronte a sua figlia, ma stavolta non era proprio riuscito a frenarsi in tempo. Le lanciò un’occhiata incendiaria mentre le si avvicinava, cauto. Viola roteò gli occhi e sbuffò, in quella maniera irritante, tipica degli adolescenti.
     – Mi sono messa la gonna. Cosa diavolo c’è di male?
     Andrea si trattenne dal prenderla a schiaffi. Detestava quando Viola gli mancava di rispetto. Inarcò un sopracciglio. – Ti sei messa la gonna? Ah, allora indossi qualcosa, perché così, a prima vista, sembri completamente nuda.
     Lei scattò in piedi, lo sguardo bellicoso. – Che esagerato! E poi da che pulpito viene la predica. Le tipe con cui sei solito uscire tu sono decisamente più scosciate di me.
     Andrea si morse la lingua. Piccola insolente! – Le tipe con cui sono solito uscire io non sono affar tuo. E per inciso, si tratta di donne adulte, non di ragazzine.
     Viola alzò il mento, gli occhi che si stringevano fino a diventare due fessure. – Io non sono una ragazzina. Ho diciotto anni, nel caso tu l’abbia scordato. Sono maggiorenne e pertanto posso vestirmi come più mi piace.
     – Stammi bene a sentire, ragazzina: non usare questo tono con me. Sono tuo padre e mi devi rispetto.
     – E allora tu smetti di trattarmi come una poppante.
     Viola lo fissò, una rabbia accecante negli occhi chiari. Ma prima che potesse risponderle a tono, si lanciò lungo il corridoio, singhiozzando. Andrea sentì sbattere la porta della sua stanza e trattenne un’imprecazione.
     Perché diamine era così difficile fare il padre? Avrebbe avuto bisogno di un manuale d’istruzioni, da tirare fuori in situazioni come quella. Percorse l’intero soggiorno a grandi falcate e afferrò il cordless situato su un mobile in mogano. Compose il numero velocemente, lasciando trasparire tutta la sua frustrazione. Diana rispose dopo un po’, il tono di voce spazientito. – Pronto? Chi parla?
     Andrea trattenne un sorriso. Ancora non aveva memorizzato il suo numero?
     – Sono io, Andrea. Ti disturbo?
     Dall’altra parte sentì un sospiro. – Andrea, te lo chiedo per favore: lasciami in pace!
     Per essere la stessa donna che aveva avuto un orgasmo multiplo nella sua auto, solo poche ore prima, la sua risposta gli parve un po’ fredda. E fredda era un eufemismo.
     – Ho bisogno del tuo aiuto. Si tratta di Viola.
     – La devi smettere di usare Viola come scusa per infilarti nel mio letto.
     Alla faccia della sincerità! Andrea si grattò la punta del naso. – Tecnicamente non eravamo in un letto e mi sembra che tu ne abbia goduto tanto quanto me. O sbaglio?
     – Andrea, non è questo il punto. Sono stata benissimo con te, è vero. Ma questa storia deve finire. Adesso.
     Avrebbe voluto prendere a calci il muro. O mettere le mani addosso a qualcuno. Invece, si limitò a inspirare ed espirare, piano. – D’accordo. Non ho intenzione di litigare con te, ora. Ma, ti prego… dammi una mano con Viola perché sto impazzendo.
     – Che è successo?
     In quello stesso istante Andrea sentì i passi di sua figlia nel corridoio, poi la porta di casa venne aperta e richiusa con un tonfo sordo. Viola era uscita senza neppure salutarlo. Di bene in meglio. Si rimangiò l’ennesima imprecazione e rispose: – Vieni da me e te lo spiego.



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sabato 13 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - UNDICESIMA PUNTATA

Jacopo sollevò lo sguardo dal registro e all’improvviso si sentì come se gli avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Viola Sartori si era chinata a raccogliere una penna che le era inavvertitamente scivolata per terra e la sua gonna – già di per sé inesistente – si era accorciata di brutto, lasciando scoperte un paio di cosce da urlo.
     Deglutì a fatica, tornando a fissare il registro senza vederlo.
     Doveva stare calmo, ma l’effetto che quella ragazza aveva su di lui era devastante. Il suo cervello stava ancora cercando di elaborare l’immagine di quelle gambe ben tornite. Era una sua impressione o sotto la gonna aveva intravisto anche un paio di slip di pizzo nero?
     – Professore, vorrei farmi interrogare – la vocina squillante della Sartori lo fece sudare freddo. No, non poteva farcela. Era già una tortura così, senza averla vicino.
     Si schiarì la voce, imponendosi di respirare regolarmente. Cosa che aveva smesso di fare nel preciso istante in cui il suo sguardo era scivolato su di lei. – La prossima volta, Viola. Oggi vorrei che cominciassimo a leggere insieme Romeo e Giulietta. – Vuoi cominciare tu, per favore?
     Nei suoi occhi lesse una punta di delusione che si costrinse a ignorare. Era possibile che lo facesse apposta a provocarlo? Cosa sperava di ottenere in ogni caso? Aprì il libro di testo e rimase in attesa. Un attimo dopo Viola iniziò a leggere, con un pizzico di esitazione. Jacopo adorava il timbro della sua voce, così dolce e femminile.
     Ancora una volta si impose di mantenere la concentrazione. Andando avanti così, sarebbe stata un’impresa riuscire ad arrivare illesi al termine dell’ultima ora. Viola continuò a leggere per un po’, finché non fu sostituita dalla sua compagna di banco e poi da Scarpati. In effetti la pronuncia di quest’ultimo non era delle migliori; avrebbero dovuto lavorarci su. A Jacopo scappò un mezzo sorriso, quando ricordò la conversazione avuta con Viola al Caffè Torino, davanti a una tazza di cioccolata calda.
     A guardarla, adesso la ragazza sembrava un’altra persona. Aveva perso la propria aria fanciullesca e si era trasformata in una bomba sexy. Appariva persino più grande della sua età, con le lunghe ciglia ricoperte da uno spesso strato di mascara e le labbra lucide di rossetto.



     Era talmente immerso nei suoi pensieri che, quando sentì il suono squillante della campanella, gli parve fossero trascorse ore. Rivolse alla classe un sorriso imbarazzato e si sistemò il colletto della camicia. – Sartori, potresti fermarti qualche minuto? Avrei bisogno di parlarti.
     I ragazzi si alzarono, spostando sedie e chiacchierando animatamente tra loro. Viola invece rimase immobile nel banco, i grandi occhi azzurri spalancati dallo stupore. – Certo, professore.
     Jacopo si grattò il mento, perplesso. – Cosa hai fatto alla guancia? – l’aveva notato solo in quell’istante: Viola aveva un cerotto, appena sotto lo zigomo destro.
     La ragazza si alzò in piedi. – Oh, solo un graffio. Ho avuto un incidente col motorino sabato, mentre tornavo a casa.
     – Santo cielo! Perché non mi hai chiamato? È tutto a posto?
     Viola esitò e quando rispose, il suo sguardo era incerto, confuso. – Be’, ho chiamato mio padre. Mi è venuto a prendere al Pronto Soccorso.
     Che idiota! Perché mai avrebbe dovuto telefonare a lui? Solo perché avevano preso una cioccolata insieme, per parlare di una dannata recita scolastica, non significava che avessero un qualche legame stretto.
     Ti piacerebbe, vero Torre?
     Scacciò la propria irritante vocina interiore e le sollevò il mento con due dita, per esaminare lo zigomo tumefatto. – Hai preso una bella botta, eh? Ti fa molto male?
     Lei reagì arricciando il bel nasino aristocratico e a Jacopo cominciarono a prudere le mani, dalla voglia di seguire il suo profilo, dal naso fino alla dolce curva delle labbra. Era decisamente impazzito. Aveva il corpo in fiamme, solo per averle sfiorato il mento!
     – Non troppo – si decise a rispondere Viola, fissandogli intensamente le labbra. Jacopo sentì un formicolio lungo la spina dorsale e dovette schiarirsi la gola, prima di riprendere la parola.
     – A ogni modo, ti ho trattenuta in classe per chiederti se ti andrebbe di provare qualche scena dello spettacolo, uno di questi pomeriggi. Ancora non ho deciso a chi assegnare la parte di Romeo, ma potremmo cominciare noi due. Giusto per prendere familiarità con i personaggi. Che ne dici?
     Viola si attorcigliò una ciocca di capelli attorno a un dito, lo sguardo sognante. – Perché non interpreti tu Romeo? Saresti perfetto per la parte.
     Jacopo sentì le viscere contrarsi. Fece una risatina nervosa e si scostò da lei, nel tentativo di riacquistare un po’ di lucidità. – Vedremo, Sartori. Per il momento, incontriamoci qui domani pomeriggio, dopo le ore di lezione.
     Lei annuì assorta. – D’accordo. Non vedo l’ora, professore.
     La guardò allontanarsi, gli occhi calamitati dal lieve dondolare dei suoi fianchi. Un velo di sudore gli ricoprì la fronte. In che guaio si era cacciato? Forse l’idea della recita non era stata così buona come aveva pensato in principio. Diamine, era un uomo in carne e ossa, dopotutto.




* * *

Diana si fermò a un passo da Sartori, in piedi sul piazzale della scuola. Le dava le spalle e stava fissando un punto lontano, lo sguardo perso nel nulla come se riflettesse. Il suo cuore aumentò i battiti. – Sei venuto a prendere Viola? – chiese, facendolo voltare. – Bene, hai seguito il mio consiglio.
     Il liceo classico Gioberti era un viavai di ragazzini urlanti che si precipitavano in strada, zaino in spalla e l’esuberanza tipica dei giovani. Diana vi era ormai abituata, ma Andrea appariva come un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente.
     – Sali – le disse all’improvviso, perentorio.
     – Come?
     Le indicò l’auto in attesa, accanto al marciapiede. Non era la stessa con cui era passato a prenderla la sera in cui l’aveva portata fuori a cena. Questa era una berlina nera, coi vetri oscurati e un autista al volante. La tipica macchina dell’uomo d’affari, insomma.
     Diana esitò. – Non aspetti tua figlia?
     – Viola tornerà a casa con Daniela, la sua compagna di banco. Ho bisogno di parlare con te. Da solo.
     Avrebbe voluto rispondergli per le rime. Non sopportava i suoi modi di fare autoritari e dispotici, ma non voleva fare scenate davanti alla scuola. Pertanto si infilò all’interno dell’auto, aggiustandosi la gonna al ginocchio che le si era sollevata di qualche centimetro. Andrea si sistemò al suo fianco, appoggiandosi allo schienale di pelle, lo sguardo fisso su di lei, quasi intendesse farle la radiografia. Da quella distanza riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba. Era buonissimo. Mentre lo inalava a pieni polmoni, si impose di restare calma. Quell’uomo le suscitava reazioni insolite, che doveva assolutamente evitare.
     – Allora? – lo sfidò con lo sguardo.
     Ignorando la sua domanda, Sartori fece un cenno all’autista che avviò il motore. La berlina scivolò attraverso il traffico, imboccando Viale Regina Margherita e finalmente Andrea tornò a prestarle attenzione. Le prese una mano, lasciando scorrere le dita sul palmo e poi sulla carne sensibile del polso. Nonostante la temperatura esterna fosse piuttosto fredda, Diana si sentiva accaldata. Si tolse il cappotto con dita tremanti, facendosi aria con la mano. – Cielo, si soffoca qui dentro.
     Lo sguardo di Andrea era intenso, come quello di un predatore. Premette un pulsante e un vetro oscurato si alzò fra loro e l’autista, che continuò a guidare indisturbato. Un istante dopo, quasi senza accorgersene, Diana si ritrovò sulle ginocchia di Sartori, le labbra premute a forza contro le sue. Aveva il respiro corto mentre una scintilla di lussuria le incendiava l’anima e il corpo.



     Avrebbe voluto respingerlo, negarsi a lui con tutte le forze. Ma non poteva. Una scarica di adrenalina la spinse verso quel corpo possente, verso quella bocca carnosa, così sensuale ed erotica. Adorava il modo in cui baciava, come se non potesse farne a meno e da quel bacio dipendesse la sua stessa vita. Mettendo da parte ogni freno inibitore, Diana gli succhiò la lingua strappandogli un gemito roco.
     – Dio, piccola – sibilò, staccandosi da lei; il petto che si alzava e abbassava freneticamente. – Adoro quando mi baci così. Mi fai desiderare la tua bocca su altre parti del mio corpo. Solo a immaginarti mentre me lo succhi con una tale avidità… dannazione, di questo passo diventerò pazzo.
     Diana cercò di ricomporsi. Doveva a tutti i costi riprendere il controllo, ma non era affatto facile. – Perché non vuoi lasciarmi in pace, Andrea? Puoi avere centinaia di donne adoranti ai tuoi piedi. Ti basta schioccare un dito!
     Sartori le lanciò un’occhiata incendiaria. – Io non voglio una donna adorante, voglio te!
     – Perché? È il fascino del proibito che ti attira? Mi vuoi perché ti ho detto di no?
     – Non lo so – il respiro gli si era fatto affannoso. Le sue mani scivolarono sulla sua schiena e tentarono di infilarsi sotto il suo golfino di lana. – So solo che ti voglio. Adesso.
     Stentava a crederlo. Cosa diavolo poteva avere lei di così irresistibile per un uomo come Sartori? Chiaramente era solo un capriccio e, una volta che l’avesse posseduta, l’avrebbe messa da parte come un fazzolettino di carta usato. Cercò di spingerlo via, ma era una montagna di muscoli d’acciaio. Lui riprese a baciarla sul collo, sollevandole la gonna. La sua lingua era dappertutto: sulle orecchie, la fronte, gli zigomi… la stava inondando di baci umidi e roventi, mentre le mani si facevano strada tra le sue cosce.
     Annaspando Diana gli afferrò i polsi, bloccandolo. – Sei pazzo? Siamo in una macchina, in pieno centro cittadino!
     Andrea si fermò solo il tempo necessario per lanciarle un’occhiata piena di desiderio. – L’auto ha i vetri oscurati. Non può vederci nessuno. Cristo, Diana… ho bisogno di te. Un bisogno disperato.
     Come non cedere a quella supplica accorata? Diana esitò. Probabilmente se ne sarebbe pentita più tardi, quando lui l’avrebbe messa nel dimenticatoio, dopo averla usata. Ma adesso Andrea era lì, a sua disposizione e, cielo, sarebbe stata folle a non approfittarne.
     Solo per questa volta, Ricci. Coraggio!
     Si spostò per mettersi a cavalcioni su di lui, strofinandosi piano sulla sua erezione. La gonna le era risalita all’altezza delle cosce e soltando un paio di slip striminziti la separavano dalla beatitudine che Sartori le prometteva. Sospirò, allacciandogli le braccia attorno al collo e impossessandosi di nuovo delle sue labbra. Gli leccò la bocca, poi passò la lingua sulla sua mascella tesa e giù fino al collo. Voleva assaporarlo. Tutto.
     Andrea si lasciò sfuggire un ringhio. – Sbaglio o questo è un sì?
     – Tu che ne dici, Sartori?
     Ondeggiò sulle proprie ginocchia, accarezzando il suo pene eccitato. Il fiato di Andrea uscì come un sibilo tra i denti, quasi stesse facendo uno sforzo tremendo per trattenersi. Averlo in suo potere le piacque, molto più di quanto avrebbe immaginato. – Anch’io ho bisogno di te – bisbigliò, continuando a sfregarsi contro di lui. Mi hai provocata e ora dovrai subirne le conseguenze.

     La sua bocca calò nuovamente su quella di lui e diede inizio alle danze.

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giovedì 4 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DECIMA PUNTATA

– Credimi, Giorgia… se lo lasci perdere è meglio! Quell’uomo non ti merita – Diana prese un sorso della sua birra, fissando l’amica negli occhi. Ancora non capiva perché perdesse il suo tempo dietro a quell’idiota. Giorgia era bella, simpatica… avrebbe potuto avere altri mille uomini ai suoi piedi.
     – La fai facile tu. Sei abituata a contare solo su te stessa. Da quanto tempo non ospiti un uomo nel tuo letto?
     Diana quasi si strozzò. Cominciò a tossire sputacchiando, gli occhi che le lacrimavano per lo sforzo. Avrebbe voluto rispondere che proprio quello stesso pomeriggio ne aveva avuto uno per le mani. Be’, non proprio in un letto… ma un divano contava ugualmente, no? Arrossì al pensiero dell’orgasmo da urlo che l’aveva travolta e alle dita di Sartori che si muovevano dentro di lei. Una vampata di calore l’avvolse e dovette fare uno sforzo tremendo per ritrovare la voce. – E questo che c’entra?
     Giorgia la fissò con condiscendenza, ficcandosi in bocca un’oliva  – C’entra eccome! Dovresti imparare a lasciarti andare ogni tanto. Altrimenti ti verranno le ragnatele.
     – Sciocchezze! Ho un ottimo rapporto col mio vibratore, sai? Dovresti provare. È poco rumoroso, non sporca e soprattutto non pretende che io cucini, lavi e stiri per lui.
     La sua amica pareva scettica e non poteva darle torto. In realtà, lei stessa non credeva alle proprie parole. Non dopo quello che era successo con Sartori. Giorgia sorseggiò il suo Martini e le lanciò un’altra occhiata dubbiosa. – Be’, non sai che ti perdi. Vale la pena sopportare qualche sacrificio, pur di avere il pene palpitante di un uomo fra le gambe.
     Giorgia le strizzò l’occhio e lei arrossì. Come erano arrivate a quel punto? Ah, sì… parlando di quello stronzo di Fulvio. Meglio riportare la discussione su un terreno meno pericoloso. – A ogni modo, dovresti cominciare a frequentare altri uomini. Fulvio è un parassita.
     – Lo so, lo so… è che non ci riesco a rinunciare a lui. È come un’ossessione!
     – Be’, liberati di questa ossessione allora!
     Diana stava cominciando a spazientirsi, quando il suo cellulare si mise a suonare senza sosta. Infilò una mano nella borsa e lo afferrò. – Pronto?



     La voce calda e sensuale di Sartori la investì. – Ciao, Diana.
     – Oh, ciao. Come sta Viola? – Si augurò di apparire tranquilla e pacata, ma in realtà il cuore le stava ballando una samba sfrenata nel petto, mentre il suo viso assumeva un ridicolo color ciliegia.
     – Bene. Non si è fatta nulla di serio. Solo un taglietto di poca importanza e un ginocchio sbucciato.
     Diana tirò un sospiro di sollievo. – Meno male. Ero così preoccupata! A proposito, grazie per aver chiamato. Non eri obbligato a farlo.
     Dall’altro lato si udì un lieve sospiro. – Diana, io… mi dispiace di essere corso via così all’improvviso e proprio sul più bello.
     – Scherzi? Tua figlia ha avuto un incidente! È naturale che tu sia andato da lei.
     – A ogni modo, sono terribilmente dispiaciuto. Permettimi di rimediare.
     Il cuore adesso prese a batterle nelle costole. – Rimediare? E come?
     – Passa la notte con me.
     A Diana quasi prese un colpo. Dovette inspirare, prima di riuscire a rispondere. E quando lo fece la sua voce era ridotta a un sussurro. – Non posso.
     – Non puoi o non vuoi?
     – Non posso e sai anche il perché.
     – Diana…
     – Senti, oggi è stato molto bello… ma non si deve ripetere. Mai più.
     Anche se non riusciva a vederlo, Diana percepì la frustrazione di Andrea. Era anche un po’ la sua, sebbene si rendesse conto di aver fatto la scelta migliore. Era meglio scordarsi di lui e del suo fascino magnetico. La vita avrebbe ripreso il suo corso naturale e lei non avrebbe rischiato di incasinarsi in una relazione pericolosa.
     Ma allora perché faceva così male? Sentiva un peso nel petto che le rendeva difficile respirare.
     – Se pensi che io mi arrenda così facilmente, non mi conosci affatto – fu la risposta secca di Sartori. Poi la comunicazione si interruppe, lasciandole addosso una forte inquietudine.
     – Chi era? – chiese Giorgia, inarcando un sopracciglio color mogano.
     Diana roteò gli occhi. – Un amico.
     La risatina maliziosa che seguì quasi la irritò. – Hai una storia e te la vuoi tenere per te? Non è così che ci si comporta fra amiche.
     – Non ho nessuna storia! – sbottò, sempre più nervosa. – E poi non stavamo parlando di Fulvio?
     Giorgia la studiò da sotto le ciglia abbassate. Anche uno stupido avrebbe capito che non le credeva per niente, ma non le importava. Non aveva alcuna intenzione di parlarle di Andrea. Mai e poi mai.

* * *

Viola era nella sua stanza e ascoltava assente il chiacchiericcio incessante della sua amica Daniela. Non avrebbe dovuto confessarle i sentimenti che provava per Jacopo, questo era poco ma sicuro. Aveva capito che era stata una pessima idea non appena le parole le erano uscite di bocca e l’aveva vista sgranare gli occhi.
     – Devi assolutamente fare qualcosa! – sbottò Daniela all’improvviso, destandola dalle sue elucubrazioni.
     – Qualcosa come andarmi a nascondere?
     La vide roteare gli occhi e appollaiarsi sulla sua scrivania come se niente fosse. – No. Qualcosa del tipo convincerlo a fare sesso con te. Non puoi arrivare vergine all’università!
     Per Daniela non aver mai fatto sesso con qualcuno equivaleva ad aver commesso un  crimine punibile col carcere a vita. Lei si era buttata fra le braccia del primo ragazzo con cui era uscita, in seconda superiore. Le aveva raccontato che non era stato un granché, ma che era stata ben felice di averlo fatto e di essersi liberata della grave onta della verginità. Naturalmente Viola non condivideva affatto le sue opinioni. Era una ragazza all’antica: credeva nel vero amore e desiderava lasciarsi andare solo una volta incontrata la persona giusta.



     Scosse la testa disgustata. – Dani, stiamo parlando del nostro insegnante di inglese!
     – Appunto. Un uomo adulto, con una buona dose di esperienza. Praticamente perfetto. E poi hai ammesso che ti piace.
     Viola scoppiò in una risata sarcastica. – Come se questo risolvesse tutto. Per lui non esisto neppure!
     – Perché ti vede ancora come una bambina. E tu di certo non lo aiuti in questo, lasciatelo dire.
     Viola corrugò la fronte. – In che senso?
     – Dovresti smettere di indossare jeans e maglioni larghi, a lezione. Non possiedi qualcosa di più sexy? – Daniela scese all’istante dalla scrivania e si infilò nel suo armadio, passando in rassegna i suoi vestiti. Tirò fuori una maglietta elasticizzata dalla scollatura prodigiosa e una minigonna di velluto. – Ecco, questi sono perfetti!
     A Viola quasi non mancò il respiro. – Stai scherzando? Non posso andare a scuola vestita in quel modo – In realtà, non avrebbe indossato quella roba neppure in un locale notturno. Semplicemente non era il tipo. Ma Daniela si mostrò irremovibile. Le lanciò uno sguardo torvo del tipo: non provarci neppure e la convinse.
     – Credimi – le sussurrò poco dopo, un sorriso birichino a incurvarle le labbra. – Non appena ti vedrà con questi, la smetterà di considerarti una bambina. Tutto quello che vorrà sarà infilarsi nelle tue mutandine. Gli uomini non resistono a un bel paio di tette e a gambe lunghe come le tue.

     Viola nutriva forti dubbi in proposito. Ma in fondo cosa aveva da perdere?

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lunedì 1 giugno 2015

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sabato 30 maggio 2015

SCANDALOSI LEGAMI - NONA PUNTATA

Andrea era senza fiato. Il corpo di Diana giaceva nudo sul divano, in tutto il suo splendore. Dio, sembrava fresca e succosa come una pesca matura, tutta da mordere. Il cuore gli batteva all’impazzata e il sangue gli scorreva più veloce nelle vene, affluendo al basso ventre.
     Doveva possederla. A ogni costo.
     Emise un basso ringhio, chinandosi su uno dei suoi seni deliziosi per lambirlo con la lingua. Il profumo del suo bagnoschiuma lo faceva impazzire. O forse era l’odore della sua pelle? Intimo e discreto come un campo fiorito.
     Lei si protese verso di lui, presumibilmente desiderosa di qualcosa di più. Oh, lo avrebbe avuto. Ma non subito. Prima l’avrebbe fatta impazzire, in modo che nella sua mente non restasse altro che lui. Voleva ridurre in brandelli anche le sue ultime difese.
     – Calma… – le sussurrò, succhiandole il capezzolo. – Lasciami assaporare ogni centimetro del tuo corpo.
     Diana mugolò qualcosa di incomprensibile, ma lui non vi prestò attenzione. Era troppo concentrato su di lei. Aveva dei seni grandi e sodi, estremamente morbidi al tatto. Era difficile trovare donne che non fossero ossessionate dai chili di troppo, nel suo ambiente. Finora aveva frequentato solo modelle pelle e ossa o attrici con le tette rifatte, ed  accarezzare Diana era un’esperienza nuova, inebriante.
      Si impadronì delle sue labbra, baciandola avido e insinuandole una mano tra le cosce. Voleva sentire se era morbida e burrosa anche lì. Cristo, la sua pelle scottava e in quel punto era umida e scivolosa. Pronta per lui.
     Deglutì. – Cristo santo, Diana… mi stai uccidendo.
     Le infilò un dito dentro, cominciando a muoverlo. In risposta, lei si dimenò sul divano. Aveva la testa reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e le labbra lievemente aperte. Ansimava come un mantice. Dio, mio… Diana faceva l’amore come se fosse in astinenza da mesi. Non aveva mai incontrato una donna più ricettiva e vogliosa.
     Andrea mosse il dito più veloce. Dentro e fuori. Aveva la fronte sudata, per la voglia di immergersi nel suo calore, ma prima voleva farla venire. Cielo, guardarla godere era un’esperienza unica.
     A un tratto lei cominciò a gemere forte, i muscoli interni della fica che si contraevano intorno al suo dito. Andrea rimase a fissarla fino all’ultimo tremito, poi si staccò, mordendole delicatamente il labbro. – Ti voglio – sussurrò con voce roca. – Adesso.
     Sbottonò i calzoni ed era sul punto di tirarsi giù la zip, quando il suo cellulare cominciò a vibrare nella tasca. Per un istante fu tentato di ignorarlo, ma poteva trattarsi di un’emergenza. Imprecando sottovoce, lo afferrò per controllare il display. Era il numero di Viola. Col fiato corto, rispose al terzo squillo. – Viola? Che c’è?
     – Papà, mi passi a prendere? Ho avuto un incidente col motorino.




* * *

Diana stentava a crederci. Quello era stato l’orgasmo migliore di tutta la sua vita. Non che ne avesse avuti molti, del resto. Le sue relazioni sentimentali erano sempre state brevi e potevano contarsi sulle dita di una mano. Inoltre, i pochi uomini che aveva avuto non possedevano né il fascino né l’abilità di Andrea Sartori.
     Cielo, se lui non avesse ricevuto la telefonata di Viola probabilmente gli avrebbe permesso di scoparla senza pietà, su quello stesso divano!
     Si passò una mano fra i capelli ancora umidi, quasi incredula di ciò che aveva appena fatto. Tremava ancora per l’eccitazione e la vagina le pulsava fra le gambe, per la voglia che aveva di sentirlo dentro.
     Si riavvolse nell’accappatoio di spugna e si alzò barcollando, la testa lievemente confusa. Doveva riacquistare il controllo di sé, immediatamente. Non poteva lasciare che quell’uomo le sconvolgesse la vita e l’unica cosa che contasse davvero per lei: il proprio lavoro. Se a scuola avessero saputo delle libertà che si era presa col padre di Viola… non osava neppure pensare a una simile eventualità.
     Si trascinò fino alla camera da letto dove si liberò dell’accappatoio, per indossare una vecchia tuta. Le tremavano anche le mani, dannazione!
     All’improvviso il pensiero andò a Viola e al suo incidente. Si augurava che non si fosse fatta nulla di grave. Come sua insegnante non poteva evitare di preoccuparsi per lei. Forse avrebbe dovuto chiamare Sartori per avere sue notizie?
     Ma cosa diavolo andava a pensare? Quelle erano solo scuse. In realtà aveva voglia di sentire la sua voce. No, non andava affatto bene. Doveva togliersi quell’uomo dalla testa. Subito.
     Il suono del telefono la fece trasalire. Sollevò la cornetta col cuore che le martellava nel petto, ma non fu la voce di Andrea che le tuonò nelle orecchie, bensì quella di Giorgia, la sua collega di matematica. – Diana, hai programmi per questa sera?
     Sospirò, nel vano tentativo di darsi una calmata. Giorgia era la sua unica, vera amica. Viveva una relazione sentimentale un po’ complicata e, quando aveva voglia di sfogarsi con qualcuno, le proponeva un’uscita a due. – Hai litigato di nuovo con Fulvio? – le chiese, sbuffando un poco. In realtà era contenta di sentirla. Aveva bisogno di un diversivo.
     Dall’altro capo del filo, Giorgia emise un mugolio strozzato. – Mi ha lasciata. Questa volta temo che sia per sempre.
     Quello era uno dei motivi per cui aveva deciso di fare a meno degli uomini: troppo inaffidabili. E fino a quel momento le era andata bene così. Se solo Sartori non si fosse messo in testa di scombinarle l’esistenza! – Coraggio, racconta – disse, lasciandosi cadere sul letto e predisponendosi all’ascolto. Probabilmente lo sfogo di Giorgia le avrebbe fatto bene, ricordandole tutti i buoni motivi per cui era meglio non lasciarsi coinvolgere in una relazione, specie con un uomo come Andrea Sartori.




* * *

La sala del Pronto Soccorso era decisamente affollata. Andrea scorse la figlia con la coda dell’occhio: era seduta su una sedia, i pantaloni strappati e un enorme cerotto all’altezza dello zigomo destro.
     – Cristo, Viola… – l’apostrofò avvicinandosi, la mente piena di pensieri confusi. – Cosa diavolo hai combinato, stavolta?
     Lei sollevò su di lui uno sguardo colpevole. Era pallida, ma non sembrava riportare gravi contusioni. – Sono scivolata su una macchia d’olio. Temo che il mio motorino sia da buttare.
     – Chi se ne frega del motorino! Tu come stai?
     Viola si alzò. – Bene. Avevo solo un graffio qui, sotto l’occhio, ma non è nulla di serio. Ah, mi sono anche sbucciata un ginocchio. Dovrò comprarmi un paio di pantaloni nuovi.
     Andrea cercò di contenere l’irritazione. Quando aveva ricevuto la chiamata di Viola gli era quasi preso un infarto. Aveva lasciato l’appartamento di Diana in fretta e furia, per precipitarsi al Pronto Soccorso; eppure tutto ciò di cui sembrava preoccuparsi sua figlia erano un motorino e un paio di pantaloni da buttare. Tutto sommato, lei sembrava essere in ottima forma. Aveva gli occhi che le brillavano e teneva stretto fra le mani un libro consunto, quasi fosse un tesoro.
     – E quello? – le chiese con una punta di curiosità.
     La sua domanda la fece arrossire. Balbettò qualcosa di incoerente, prima di aggiungere: – È il testo della tragedia di Romeo e Giulietta. Una cosa per la scuola. Me lo ha prestato il prof di inglese.
     Andrea annuì, prendendola sotto braccio. – Vieni, ti riaccompagno a casa. Mi hai fatto prendere un bello spavento, lo sai?
     Senza contare che, a causa sua, aveva dovuto interrompere quello che prospettava essere il miglior amplesso della sua vita. Dio, Diana lo aveva fatto letteralmente impazzire. Cercò di scrollarsi di dosso la frustrazione e rallentò il passo. Viola zoppicava appena. – Quante volte ti ho detto di fare attenzione quando prendi il motorino? – borbottò, avviandosi verso l’uscita. Odiava gli ospedali e quell’odore di disinfettante. Molto meglio il profumo della pelle di Diana, appena uscita dalla doccia. Quel pensiero bastò a fargli tornare l’eccitazione. Doveva a tutti i costi fare qualcosa. Non poteva andare avanti così, continuando a desiderare quella donna. Eppure, per la prima volta in vita sua, non sapeva come comportarsi. Diana era diversa dalle altre. Invece di buttarsi fra le sue braccia come facevano tutte, sembrava combattuta. Sospettava che non sarebbe stato facile portarsela a letto, non dopo che l’aveva piantata in asso sul più bello.
     Sbuffò appena. – Sei una piantagrane, Viola. Lo sai, vero?
     Sua figlia abbozzò un sorrisino. – Ho interrotto qualcosa di importante?
     Col cavolo che le avrebbe raccontato di Diana! Si grattò la punta del naso, scattando verso l’auto parcheggiata in doppia fila. – Solo una noiosissima riunione di lavoro.
     – Be’, allora dovresti essermi grato! Che ne dici di festeggiare con pizza e patatine fritte?
     Andrea era perplesso. Aveva appena avuto un incidente col motorino e pensava a festeggiare? A sua figlia stava succedendo qualcosa, anche se non gli era esattamente chiaro che cosa.

     Ma con l’aiuto di Diana lo avrebbe scoperto.


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