Jacopo sollevò lo sguardo dal
registro e all’improvviso si sentì come se gli avessero risucchiato l’aria dai
polmoni. Viola Sartori si era chinata a raccogliere una penna che le era
inavvertitamente scivolata per terra e la sua gonna – già di per sé inesistente
– si era accorciata di brutto, lasciando scoperte un paio di cosce da urlo.
Deglutì a fatica, tornando a fissare il registro
senza vederlo.
Doveva stare calmo, ma l’effetto che
quella ragazza aveva su di lui era devastante. Il suo cervello stava ancora
cercando di elaborare l’immagine di quelle gambe ben tornite. Era una sua
impressione o sotto la gonna aveva intravisto anche un paio di slip di pizzo
nero?
– Professore, vorrei farmi interrogare –
la vocina squillante della Sartori lo fece sudare freddo. No, non poteva
farcela. Era già una tortura così, senza averla vicino.
Si schiarì la voce, imponendosi di
respirare regolarmente. Cosa che aveva smesso di fare nel preciso istante in
cui il suo sguardo era scivolato su di lei. – La prossima volta, Viola. Oggi
vorrei che cominciassimo a leggere insieme Romeo
e Giulietta. – Vuoi cominciare tu, per favore?
Nei suoi occhi lesse una punta di
delusione che si costrinse a ignorare. Era possibile che lo facesse apposta a
provocarlo? Cosa sperava di ottenere in ogni caso? Aprì il libro di testo e
rimase in attesa. Un attimo dopo Viola iniziò a leggere, con un pizzico di
esitazione. Jacopo adorava il timbro della sua voce, così dolce e femminile.
Ancora una volta si impose di mantenere la
concentrazione. Andando avanti così, sarebbe stata un’impresa riuscire ad
arrivare illesi al termine dell’ultima ora. Viola continuò a leggere per un
po’, finché non fu sostituita dalla sua compagna di banco e poi da Scarpati. In
effetti la pronuncia di quest’ultimo non era delle migliori; avrebbero dovuto
lavorarci su. A Jacopo scappò un mezzo sorriso, quando ricordò la conversazione
avuta con Viola al Caffè Torino, davanti a una tazza di cioccolata calda.
A guardarla, adesso la ragazza sembrava
un’altra persona. Aveva perso la propria aria fanciullesca e si era trasformata
in una bomba sexy. Appariva persino più grande della sua età, con le lunghe
ciglia ricoperte da uno spesso strato di mascara e le labbra lucide di
rossetto.
Era talmente immerso nei suoi pensieri
che, quando sentì il suono squillante della campanella, gli parve fossero
trascorse ore. Rivolse alla classe un sorriso imbarazzato e si sistemò il
colletto della camicia. – Sartori, potresti fermarti qualche minuto? Avrei
bisogno di parlarti.
I ragazzi si alzarono, spostando sedie e
chiacchierando animatamente tra loro. Viola invece rimase immobile nel banco, i
grandi occhi azzurri spalancati dallo stupore. – Certo, professore.
Jacopo si grattò il mento, perplesso. –
Cosa hai fatto alla guancia? – l’aveva notato solo in quell’istante: Viola
aveva un cerotto, appena sotto lo zigomo destro.
La
ragazza si alzò in piedi. – Oh, solo un graffio. Ho avuto un incidente col
motorino sabato, mentre tornavo a casa.
– Santo cielo! Perché non mi hai chiamato?
È tutto a posto?
Viola esitò e quando rispose, il suo
sguardo era incerto, confuso. – Be’, ho chiamato mio padre. Mi è venuto a
prendere al Pronto Soccorso.
Che idiota! Perché mai avrebbe dovuto
telefonare a lui? Solo perché avevano preso una cioccolata insieme, per parlare
di una dannata recita scolastica, non significava che avessero un qualche
legame stretto.
Ti
piacerebbe, vero Torre?
Scacciò la propria irritante vocina
interiore e le sollevò il mento con due dita, per esaminare lo zigomo
tumefatto. – Hai preso una bella botta, eh? Ti fa molto male?
Lei reagì arricciando il bel nasino
aristocratico e a Jacopo cominciarono a prudere le mani, dalla voglia di
seguire il suo profilo, dal naso fino alla dolce curva delle labbra. Era
decisamente impazzito. Aveva il corpo in fiamme, solo per averle sfiorato il
mento!
– Non troppo – si decise a rispondere
Viola, fissandogli intensamente le labbra. Jacopo sentì un formicolio lungo la
spina dorsale e dovette schiarirsi la gola, prima di riprendere la parola.
– A ogni modo, ti ho trattenuta in classe
per chiederti se ti andrebbe di provare qualche scena dello spettacolo, uno di
questi pomeriggi. Ancora non ho deciso a chi assegnare la parte di Romeo, ma
potremmo cominciare noi due. Giusto per prendere familiarità con i personaggi.
Che ne dici?
Viola si attorcigliò una ciocca di capelli
attorno a un dito, lo sguardo sognante. – Perché non interpreti tu Romeo?
Saresti perfetto per la parte.
Jacopo sentì le viscere contrarsi. Fece
una risatina nervosa e si scostò da lei, nel tentativo di riacquistare un po’
di lucidità. – Vedremo, Sartori. Per il momento, incontriamoci qui domani
pomeriggio, dopo le ore di lezione.
Lei annuì assorta. – D’accordo. Non vedo
l’ora, professore.
La guardò allontanarsi, gli occhi
calamitati dal lieve dondolare dei suoi fianchi. Un velo di sudore gli ricoprì
la fronte. In che guaio si era cacciato? Forse l’idea della recita non era
stata così buona come aveva pensato in principio. Diamine, era un uomo in carne
e ossa, dopotutto.
* * *
Diana si fermò a un passo da
Sartori, in piedi sul piazzale della scuola. Le dava le spalle e stava fissando
un punto lontano, lo sguardo perso nel nulla come se riflettesse. Il suo cuore
aumentò i battiti. – Sei venuto a prendere Viola? – chiese, facendolo voltare.
– Bene, hai seguito il mio consiglio.
Il liceo classico Gioberti era un viavai
di ragazzini urlanti che si precipitavano in strada, zaino in spalla e
l’esuberanza tipica dei giovani. Diana vi era ormai abituata, ma Andrea
appariva come un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente.
– Sali – le disse all’improvviso,
perentorio.
– Come?
Le indicò l’auto in attesa, accanto al
marciapiede. Non era la stessa con cui era passato a prenderla la sera in cui
l’aveva portata fuori a cena. Questa era una berlina nera, coi vetri oscurati e
un autista al volante. La tipica macchina dell’uomo d’affari, insomma.
Diana esitò. – Non aspetti tua figlia?
– Viola tornerà a casa con Daniela, la sua
compagna di banco. Ho bisogno di parlare con te. Da solo.
Avrebbe voluto rispondergli per le rime.
Non sopportava i suoi modi di fare autoritari e dispotici, ma non voleva fare
scenate davanti alla scuola. Pertanto si infilò all’interno dell’auto,
aggiustandosi la gonna al ginocchio che le si era sollevata di qualche
centimetro. Andrea si sistemò al suo fianco, appoggiandosi allo schienale di
pelle, lo sguardo fisso su di lei, quasi intendesse farle la radiografia. Da
quella distanza riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba. Era buonissimo.
Mentre lo inalava a pieni polmoni, si impose di restare calma. Quell’uomo le
suscitava reazioni insolite, che doveva assolutamente evitare.
– Allora? – lo sfidò con lo sguardo.
Ignorando la sua domanda, Sartori fece un
cenno all’autista che avviò il motore. La berlina scivolò attraverso il
traffico, imboccando Viale Regina Margherita e finalmente Andrea tornò a
prestarle attenzione. Le prese una mano, lasciando scorrere le dita sul palmo e
poi sulla carne sensibile del polso. Nonostante la temperatura esterna fosse piuttosto
fredda, Diana si sentiva accaldata. Si tolse il cappotto con dita tremanti,
facendosi aria con la mano. – Cielo, si soffoca qui dentro.
Lo sguardo di Andrea era intenso, come
quello di un predatore. Premette un pulsante e un vetro oscurato si alzò fra
loro e l’autista, che continuò a guidare indisturbato. Un istante dopo, quasi
senza accorgersene, Diana si ritrovò sulle ginocchia di Sartori, le labbra
premute a forza contro le sue. Aveva il respiro corto mentre una scintilla di
lussuria le incendiava l’anima e il corpo.
Avrebbe voluto respingerlo, negarsi a lui
con tutte le forze. Ma non poteva. Una scarica di adrenalina la spinse verso
quel corpo possente, verso quella bocca carnosa, così sensuale ed erotica.
Adorava il modo in cui baciava, come se non potesse farne a meno e da quel
bacio dipendesse la sua stessa vita. Mettendo da parte ogni freno inibitore,
Diana gli succhiò la lingua strappandogli un gemito roco.
– Dio, piccola – sibilò, staccandosi da
lei; il petto che si alzava e abbassava freneticamente. – Adoro quando mi baci
così. Mi fai desiderare la tua bocca su altre parti del mio corpo. Solo a
immaginarti mentre me lo succhi con una tale avidità… dannazione, di questo
passo diventerò pazzo.
Diana cercò di ricomporsi. Doveva a tutti
i costi riprendere il controllo, ma non era affatto facile. – Perché non vuoi
lasciarmi in pace, Andrea? Puoi avere centinaia di donne adoranti ai tuoi
piedi. Ti basta schioccare un dito!
Sartori le lanciò un’occhiata incendiaria.
– Io non voglio una donna adorante, voglio te!
– Perché? È il fascino del proibito che ti
attira? Mi vuoi perché ti ho detto di no?
– Non lo so – il respiro gli si era fatto
affannoso. Le sue mani scivolarono sulla sua schiena e tentarono di infilarsi
sotto il suo golfino di lana. – So solo che ti voglio. Adesso.
Stentava a crederlo. Cosa diavolo poteva
avere lei di così irresistibile per un uomo come Sartori? Chiaramente era solo
un capriccio e, una volta che l’avesse posseduta, l’avrebbe messa da parte come
un fazzolettino di carta usato. Cercò di spingerlo via, ma era una montagna di
muscoli d’acciaio. Lui riprese a baciarla sul collo, sollevandole la gonna. La
sua lingua era dappertutto: sulle orecchie, la fronte, gli zigomi… la stava
inondando di baci umidi e roventi, mentre le mani si facevano strada tra le sue
cosce.
Annaspando Diana gli afferrò i polsi,
bloccandolo. – Sei pazzo? Siamo in una macchina, in pieno centro cittadino!
Andrea si fermò solo il tempo necessario
per lanciarle un’occhiata piena di desiderio. – L’auto ha i vetri oscurati. Non
può vederci nessuno. Cristo, Diana… ho bisogno di te. Un bisogno disperato.
Come non cedere a quella supplica accorata?
Diana esitò. Probabilmente se ne sarebbe pentita più tardi, quando lui
l’avrebbe messa nel dimenticatoio, dopo averla usata. Ma adesso Andrea era lì,
a sua disposizione e, cielo, sarebbe stata folle a non approfittarne.
Solo
per questa volta, Ricci. Coraggio!
Si spostò per mettersi a cavalcioni su di
lui, strofinandosi piano sulla sua erezione. La gonna le era risalita
all’altezza delle cosce e soltando un paio di slip striminziti la separavano
dalla beatitudine che Sartori le prometteva. Sospirò, allacciandogli le braccia
attorno al collo e impossessandosi di nuovo delle sue labbra. Gli leccò la
bocca, poi passò la lingua sulla sua mascella tesa e giù fino al collo. Voleva
assaporarlo. Tutto.
Andrea si lasciò sfuggire un ringhio. –
Sbaglio o questo è un sì?
– Tu che ne dici, Sartori?
Ondeggiò sulle proprie ginocchia,
accarezzando il suo pene eccitato. Il fiato di Andrea uscì come un sibilo tra i
denti, quasi stesse facendo uno sforzo tremendo per trattenersi. Averlo in suo
potere le piacque, molto più di quanto avrebbe immaginato. – Anch’io ho bisogno
di te – bisbigliò, continuando a sfregarsi contro di lui. Mi hai provocata e
ora dovrai subirne le conseguenze.
La sua bocca calò nuovamente su quella di
lui e diede inizio alle danze.
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